"Mio padre ha due cuori: la figlia o l'onore? In questo momento dice che
vuole la figlia, però dentro di lui c'è anche quell'altro fatto."
Queste parole le pronuncia Maria Concetta Cacciola, trent'anni, tre
figli, colpevole di aver tradito il marito e di aver deciso di
collaborare con la giustizia seguendo l'esempio di Giuseppina Pesce,
anche lei giovane madre, anche lei di Rosarno. E poi ci sono Rosa
Ferraro, Simona Napoli, tutte 'fimmine ribelli' che hanno osato dire di
no a padri, mariti, fratelli. Come nell'Afghanistan dei talebani, in
Calabria la donna che "disonora" la famiglia deve morire, meglio se con
un suicidio che tutela dalle conseguenze penali. Attraverso le storie di
queste donne, Lirio Abbate racconta uno spaccato di apparente normalità
dietro cui si nascondono una frenetica attività criminale, patrimoni
immensi e un radicamento a una cultura patriarcale antiquata e retriva.
Ma la ribellione delle donne che oggi si affidano "allo Stato, ovvero al
nemico" per cercare di scampare a un destino infernale, produce un
effetto dirompente. Perché sgretola l'immagine di compattezza del clan,
mette in dubbio i valori del sistema 'ndrangheta, rivela l'impotenza dei
boss incapaci di "tenere in riga" le loro donne. E, soprattutto,
accende nelle altre 'fimmine' la consapevolezza della propria condizione
e il desiderio di scrollarsela di dosso, facendo nomi e cognomi e
aprendo crepe in un universo inconcepibile ma fin troppo vero.
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